La Tradizione Psicoanalitica Britannica Indipendente

2008813

PREMESSA STORICA

Sono trascorsi trentasette anni dal primo approdo di Andreas Giannakoulas a San Lorenzo, il movimentato quartiere di Roma, dove si trova la: “Neuro Infantile”. Così la facoltà era chiamata un tempo, molto familiarmente, da… tutti noi.

Noi incontrammo Andreas Giannakoulas – Tavistock Clinik di Londra – che eravamo ragazzi “anni settanta”, laureati con lode e ansiosi di incidere nel mondo. Eravamo, forse, dei privilegiati, come scriveva Pasolini (1968) nella sua nota difesa dei giovani appena maggiorenni, che facevano i poliziotti per lavoro. Poi anche lui, come altri prima, fu ucciso. Fu ucciso impietosamente, quella brutta notte del giorno dei morti, in un assurdo novembre che pareva primavera.

In un paese sconvolto dal terrore politico, noi, giovani privilegiati – anche dotati di requisiti, forse -, inseguendo ideali di un mondo migliore che ci pareva di vedere in una certa sinistra, facevamo la nostra rivoluzione in maniera non cruenta. Quella protesta silente e operativa si realizzava nel contesto accademico e ospedaliero di Via dei Sabelli, che dal ristagno culturale di una psichiatria baronale e arretrata, rinasceva proprio allora come luogo vitale di scienza.

La rinascita era dovuta all’impegno imprenditoriale del Neuropsichiatra Infantile più noto d’Italia, Giovanni Bollea, che da sottile cacciatore di talenti invitava nel suo Istituto nomi di spicco internazionale per promuovere un movimento scientifico che puntava all’eccellenza.

Nello stesso luogo, Neuro Infantile, tra ricerca scientifica, riunioni teoriche, e sacrificali esperienze cliniche, un grande uomo, lo psicoanalista Adriano Giannotti, ribaltò l’inerzia romana nella psicologia infantile, osando nuove frontiere. Usava la psicoanalisi intensiva per casi clinici inguaribili, allora ancora considerati di esclusività psichiatrica. Erano gravi patologie di bambini, di adolescenti e di infelici genitori, proposte in trattamento clinico al suo gruppo scelto di allievi che seguiva di persona, riuscendo a corredare di ricchezza clinica e di successi inesplorati prima di allora, la sua nuova, emergente Sezione di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Età Evolutiva.

Era il 1975, il cuore dei cosiddetti Anni di piombo. Andreas Giannakoulas, da allora, restò con noi, sempre in volo tra Roma e Londra, oltrepassando con ieratica disinvoltura quanto di inquietante accadeva in Italia, e sempre centrato nel compito a lui richiesto.

Grazie ad un carisma didattico che incantava, – e che incanta – , grazie ai prestigiosi legami Psi di stampo anglosassone, grazie alla sua disponibilità trasmissiva inesauribile, con Andreas Giannakoulas partì, a San Lorenzo, il Primo Corso di Specializzazione di lingua italiana concepito secondo il modello Tavistock, dove si realizzava la trasmissione di un sapere psicoanalitico sulla psicoterapia dell’età evolutiva, che collocò Roma a livello di rilievo scientifico internazionale.

Quel tempo è passato. Arriviamo adesso ai giorni nostri, in cui costumi e fatti sono altri da allora. Le scuole di specializzazione, intanto, sono sostanzialmente inflazionate. Alla metà di gennaio di quest’anno, 2012, ci ritroviamo ancora a San Lorenzo: stesso luogo, stessa aula, ma un conturbante mix di nuove facce giovani e vecchie facce di allora, tra le quali risaltavano anche ingiusti vuoti e dolorose assenze.

Andreas Giannakoulas, ancora una volta seduto al posto d’onore, era iconicamente eguale a se stesso, in apparenza, ma emozionato come mai nell’impegno di presentare – nel vecchio Istituto di Via dei Sabelli, come se il tempo non fosse mai passato -, il suo più recente e meditato scritto, che riassume, dopo una rivisitazione teorica infinita, durata decenni, i riferimenti culturali che lui ha voluto per sé come cardini espressivi, distintivi, della sua più genuina identità professionale.

Tanto amorevole e lungo impegno ci consegna, alla fine, un testo da non perdere.

L’OPERA

La Tradizione Psicoanalitica Britannica Indipendente, titolo speciale, è presto dipanato dalla citazione di Winnicott, psicoanalista, pensatore e scrittore, indiscutibilmente britannico e indiscutibilmente indipendente: «Non è possibile essere originale tranne che sulla base della tradizione» (p.53) A questa affermazione succede l’altra tratta da Eliot (1964), poeta amato sia da Winnicott sia da Bion, e costantemente presente nell’ispirazione più intima del lavoro di Giannakoulas: «Ho già detto che l’esperienza passata, rivissuta nel significato, non è l’esperienza di una vita sola ma di molte generazioni – senza dimenticare qualcosa che probabilmente è del tutto inesprimibile» (p. 23).

Questo in sintesi, il registro del lavoro, un registro del tutto proprio di Giannakoulas, che è presentato come Indipendent Mind da Max Hernàndez, – suo amico a noi familiare per la frequente e stimolante presenza alla Neuro Infantile – , il quale propone un profilo riportato qui di seguito: «I suoi contributi e la sua creatività sono espressione di un personalissimo riferimento interiore dove la solitudine e la capacità di preoccuparsi sono il frutto di una vasta esperienza culturale; la capacity to bee alone» (p. 12).

Il registro di cui parla Hernandez, esistenziale e fondamentalmente etico a mio parere, il winnicottiano saper essere soli in presenza degli altri trasposto anche in ambito scientifico, traspare in tutta l’opera che procede stilisticamente non erigendosi come una serrata impalcatura architettonica, ma scorrendo direi orizzontalmente, in modo molto simile alla formula narrativa del romanzo Le Onde di Woolf (1931). Il testo, vale a dire, si dispiega nella lettura secondo un movimento storico e riflessivo dal ritmo ciclico, ricorrente, denso di pensieri psicoanalitici che si inseguono, si collegano e si sovrappongono. E in questa particolare forma di scrittura, nonostante la formale scansione in nove capitoli, – molti dei quali con un titolo meditato sino a tradire un humus arcaico, da Oracolo di Delfi -, tutto si dipana armoniosamente e progressivamente, via via sempre più estesamente, per raggiungere, alla conclusione, l’evocazione di quell’Inesprimibile che si dona naturalmente alla mente del lettore senza mai forzarla. Questo inesprimibile, già in principio, era stato annunciato dalla parola poetica di Eliot.

Il libro, si intende, è dedicato all’Olimpo di figure mitologiche che hanno animato il mondo della psicoanalisi anglosassone anni trenta-ottanta – e l’essere indipendenti nella tradizione britannica – figure che hanno segnato inconfondibilmente la formazione psicoanalitica di Giannakoulas e di conseguenza anche la nostra, più eclettica, di allievi.

Di piccolo formato, il libro propone la copertina con foto in bianco e nero, scattata da una fotografa “ambulante”, Niki Tipaldoi, che ritrae una giovane madre etnica. La donna, forte di una dignità arcaica, è esile e scalza, ma sta comunque “col suo piede ben piantato in terra”. Da un lato essa armeggia con un bastone nella brace, mentre dall’altro, attraverso una disinvolta torsione del busto, protegge dal fumo il suo bambino, che è seduto solidamente sul fianco della madre, ed è da lei sostenuto con il braccio sinistro, dalla parte del cuore. Soltanto lo sguardo della donna è intento occasionalmente altrove ma il suo corpo ruota naturalmente su se stesso a protezione del piccolo, così da evocare, al di fuori di ogni possibile situazione storicizzabile, l’essenza strutturale, l’idea platonica, della perfetta relazione madre-bambino.

In primis, ne La Tradizione Psicoanalitica Britannica Indipendente, incontriamo insomma una rappresentazione esaustiva del concetto winnicottiano di holding materna.

I TEMI

CONTENITORE, REVÊRIE E HOLDING

Holding, Handling e Object presenting, – vale a dire, il contenimento, il prendersi cura e la presentazione dell’oggetto -, sono i caposaldi per cui il percorso evolutivo del bambino passa dalla dipendenza assoluta alla fase della dipendenza relativa sino al raggiungimento della indipendenza; questo movimento secondo Winnicott si concretizza più o meno felicemente in relazione anche alle condizioni ambientali.

Il concetto di holding, sempre presente nel discorso, è ripetutamente e pazientemente differenziato dal concetto di contenitore-contenuto bioniano con correlata rêverie materna. La madre di Bion, attraverso la rêverie, il fantasticare sul figlio, si immedesima nel bambino senza perdere la propria identità accompagnandolo nella ricerca di significati, mentre la madre di Winnicott nella holding funziona come madre-ambiente, che avvolge corporeamente il figlio segnandone la continuità dell’essere: going on being.

La madre ambiente riguarda gli stati di quiete, mentre la madre-oggetto, – secondo Winnicott – , si riferisce alla madre per come è percepita dal bambino nei suoi momenti di eccitazione. La riunione, nella mente del bambino, delle due madri sperimentate nelle due diverse condizioni – quiete-eccitazione – crea la premessa per l’acquisizione psichica della capacità di preoccuparsi. Questa funzione segna un livello più evoluto di organizzazione del Sé e di relazione oggettuale.

La sequenza citata a inizio paragrafo si è configurata nella fase matura di Winnicott per l’esigenza di teorizzare esaustivamente il meccanismo dell’energia istintuale messa al servizio dell’Io. Coniando una sequenza in chiave ambientale, da abbinare alla prima sequenza da lui concepita – continuità dell’essere, integrazione, relazione oggettuale e realizzazione, che descrive lo sviluppo precoce – , Winnicott ha potuto finalmente approdare a una teoria completa dei processi evolutivi sani e comunque ispirata al principio informatore del suo pensiero: Home is Where We Start From(1867); casa, è da dove abbiamo inizio.

LA RELAZIONE TERAPEUTICA

Il principio citato ha naturalmente una stretta consequenzialità con la impostazione britannica della relazione terapeutica, nella cornice del setting, che Giannakoulas così descrive: «L’accento è sulla reciprocità dell’essere dell’analista che facilita il potenziale dello sperimentare mutativo. Per lo psicoanalista britannico incontrare in maniera profonda il paziente significava recuperare i suoi valori, possibilmente i più antichi, come anche le potenzialità che vanno all’aldilà dell’idioma tradizionale e dell’articolazione linguistica» (p. 58).

Notiamo qui una sottesa polemica di Giannakoulas con lo strutturalismo linguistico e con la scuola psicoanalitica francese legata a Jacques Lacan, che ha influenzato molti Autori riferendo il processo psicoanalitico prevalentemente al Registro Simbolico, al linguaggio. Non è il caso ora di addentrarsi in una analisi approfondita delle affinità e delle diversità tra il concetto di Illusione di Milner e Winnicott, e di Immaginario lacaniano. Ci interessa invece cogliere quanto conti, per la tradizione indipendente, l’intensità e la donatività implicita di una relazione che lavora sulle emozioni transferali e controtransferali così profondamente da arrivare quasi sino alla carne, non solo nel paziente ma anche nell’analista.

Questa cultura di uno stile clinico coinvolgente in chiave profonda, sebbene contenuto nella neutralità analitica, si motiva con l’esperienza vissuta da varie generazioni di psicoanalisti britannici che hanno riveduto la tecnica per prediligere un modo di essere naturale, agile e sempre rispettoso del livello ottimale di sostenibilità del paziente, come ci racconta Giannakoulas di Winnicott: «Spesso la sua reticenza alla verbalizzazione a tutti i costi, la fertilità del silenzio (…) creavano un effetto di sensibilità quasi perduto negli incontri psicoanalitici. L’holding environment, cioè un milieu congeniale, analogo alle cure materne, veniva offerto per permettere al paziente rivelarsi a se stesso» (p.59 ).

LA REGRESSIONE

Entriamo qui nel filone centrale del libro cui è dedicato un intero capitolo ma che ricorre come motivo di fondo in tutto il lavoro: la Regressione Terapeutica. Su di essa il riferimento principale va a Balint (1968) e alla distinzione tra regressione benigna – ove la fiducia nell’altro da parte del paziente sia ingrediente dominante -, oppure regressione maligna, ove il paziente sia ingabbiato nella pretesa tirannica di risarcimento. In ogni caso lo scopo del trattamento facilita la regressione provvisoria del paziente e la sua dipendenza dallo psicoanalista per mettere in condizione il paziente di transitare dal difetto di base, alla condizione trasformativa di un nuovo inizio. Tale spazio potenziale innovativo sarà possibile, secondo il pensiero di Kahn, con due condizioni preliminari: a) l’abbandono dell’atteggiamento paranoico che comporta la rinuncia alla sospettosità; b) l’accettazione senza ansie indebite di un certo livello di depressione.

I giochi non sono intesi qui a esclusiva discrezione della patologia del paziente, come in Klein, ma si vi configura invece l’interscambio costante tra flessibilità ragionata dell’analista e potenzialità evolutiva del paziente. Tale equilibrio paziente-analista può talvolta nei vari Autori assumere proporzioni diverse sino al vertice esasperato dell’ultimo Khan, gravemente ammalato e troppo sofferente. Non senza un sentimento rispettoso ma realistico circa gli errori di cui si è parlato a lungo già prima della sua morte, Giannakoulas pubblica, senza ipocrisie, le due lapidarie pagine di Khan che risuonano come un drammatico testamento privato. Dello scritto, Infanzia, solitudine e follia, di Khan, dunque, – una testimonianza storica da non perdere -, riporto, per conoscenza, le ultime righe: «Spinti dall’ansia, tentiamo erroneamente di ricondurre a un senso questo non senso, ricostruendo i fatti (Winnicott) o le fantasie (Klein) dell’infanzia. Né gli uni né le altre possono aiutarci; il potenziale creativo della follia si ritrae nell’oblio, e l’analizzando non è più folle né solo, ma semplicemente smarrito e abbandonato » (p134,135.).

NON INTEGRAZIONE, INTEGRAZIONE, DISINTEGRAZIONE, DISSOCIAZIONE, TRAUMA

Nell’intento di ritradurre in termini squisitamente pragmatici la potenza quasi biblica di queste parole, possiamo riflettere sulla necessità clinica di rispettare il bisogno dell’analizzando di vivere, in presenza dell’analista, la sua dimensione di privata follia, che non vuol dire psicosi ma stati di pre-integrazione, e di vivere liberamente la segreta solitudine, che non vuol dire isolamento ma tentativo di essere soli in presenza dell’altro; il tutto in funzione e in conseguenza della regressione terapeutica benigna.

È già nella relazione primaria madre-bambino che si configura la condizione per cui la madre deve poter tollerare lo stato di non integrazione del bambino, prima che questi acquisisca stabilmente il senso della continuità dell’essere. Si può parlare di integrazione, dice Winnicott, solo dopo tale continuità; ma se lo stato che chiamiamo integrazione, dopo essere felicemente raggiunto, subisce per qualche ragione un breakdown, allora ci sarà 1’esperienza di disintegrazione, che segna l’ingresso in una area patologica.

La regressione terapeutica alla dipendenza, la regressione che Balint ha chiamato benigna dunque, punta a rintracciare nell’hic et nunc del transfert quegli stati arcaici e preverbali del tempo di una non ancora avvenuta integrazione. Se la holding materna non è stata adeguata o se gli eventi, comprese le esperienze di trauma, non sono commisurati al bisogno attuale soggettivo del piccolo, l’integrazione resta parziale e incompleta. Le parti non integrate diventano allora dissociate perché queste parti non integrate del Sé si smarriscono in qualche zona avulsa dall’insieme in cui avvengono le connessioni del processo evolutivo. Tale smarrimento impedisce al soggetto un processo elaborativo delle parti perdute.

La relazione terapeutica, per i fenomeni di regressione di cui stiamo parlando, comporta delle prove forti dal punto di vista professionale. Scrive Giannakoulas: «Sappiamo che nulla costa di più all’analista che catturare nell’hic et nunc la sostanziale intensità, la presenza quasi carnale e l’immediatezza sensoriale che queste narrazioni includono, ed è precisamente questa vicissitudine così concreta che rende il transfert essenziale» (p. 153).

And all is alwais now, e tutto è sempre ora: è la sintesi ineffabile della poesia di Eliot (op. cit.).

Grazie alla regressione, in qualche fase del lavoro analitico, arriva il momento in cui la dissociazione del paziente si collassa, e da tale cedimento emerge qualche frammento di antica memoria. Progressivamente gli aspetti del Sé che si erano smarriti sono segnalati e comunicati nella stanza di analisi a sé e all’altro. A questo livello, rimarca Giannakoulas, holding e contenimento sono fattori necessari, insieme, per visualizzare gli aspetti più arcaici del transfert e del controtransfert. È possibile allora pensare i veri termini di una relazione originaria sconosciuta all’analista e al paziente stesso grazie a: «una condizione che attende di immergersi in una consapevolezza corporea totale senza cercare la corretta interpretazione, in realtà senza cercare affatto idee, sebbene le interpretazioni possano emergere da questo stato spontaneamente» Milner (1987 p. 299).

QUALCOSA DI PERSONALE, PER FINIRE

Nella presentazione di Via dei Sabelli, Andreas Giannakoulas ha espresso la sua gratitudine nei confronti di Sara, prima paziente della sua vita professionale. Lavorare con lei gli ha insegnato molto, ha detto, e, infatti, di lei ha scritto generosamente nel libro, offrendo osservazioni dalle valenze poetiche addirittura su i movimenti nella sala d’aspetto, al primo appuntamento. L’omaggio a Sara in ogni modo ha segnato un momento di grande pathos nella mattinata sollecitando in me varie memorie di quei tempi lontani.

Di Sara noi parlavamo quando Andrea, – mi si conceda la confidenza – iniziava, negli anni di piombo i seminari romani dedicati al transfert erotico e agli acting in, nella stanza di analisi. Tali questioni appassionavano gli uditori ma allertavano in particolare quelli di noi che già trattavano adolescenti gravi, non solo adulti e bambini. Oltre Sarah, ne La Sibilla Morta, ultimo capitolo del libro, è presente anche Natalie, una paziente romana del tempo in cui Giannakoulas si era ormai trasferito in Italia. Natalie apre, a conclusione del testo, il tema della depressione materna, e Giannakoulas cita in primo luogo La riparazione in funzione della difesa materna organizzata contro la depressione, dove Winnicott, già nel ‘48, aveva rilevato la necessità del bambino piccolo di confrontarsi con l’umore della madre. Tale confronto secondo Winnicott va oltre al compito di evolvere dalla posizione schizo-paranoide per arrivare alla posizione depressiva, – Klein – e riguarda la concezione della madre-ambiente di cui abbiamo parlato.

Una volta immessi in questa area tematica, era d’obbligo arrivare alla Madre Morta di André Green, – psicoanalista niente affatto britannico ma molto francese di adozione -, che ha scritto pensieri memorabili sulle allucinosi e sugli esiti della depressione materna.

Come è ricordato nel libro, Green era di formazione lacaniana ed era stato analizzato da Nacht, psicoanalista a me caro per il suo lavoro sul Masochismo Primario Organico (1938), una concezione di grande interesse la sedimentazione corporea delle esperienze traumatiche precoci, che negli anni è poi divenuta questione assai diffusa nel campo psicoanalitico.

La citazione di Green, dunque, mi ha ricordato che, prima di incontrare Andreas, di Autori francesi ne avevo letti parecchi e, prima ancora che fosse tradotta, avevo anche studiato l’opera monumentale degli Ecrits di Lacan (1932), che avevo visto di persona e anche ascoltato nelle sue conferenze romane. Di lui apprezzavo la geniale Fase dello specchio presentata al Congresso Internazionale di Psicoanalisi di Marienbad nel 1932 e, a torto o a ragione, pensavo francamente che da tale teoria Winnicott avesse tratto ispirazione per il concetto di mirroring materna. In ogni modo, la lettura di tanti testi sacri, era servita per la mia tesi di laurea La relazione primaria nell’infanzia, dove M. Klein, ancora di gran moda negli anni settanta in Inghilterra, era da me presentata in chiave critica per la sua tecnica, che non mi era congeniale.

Quando partì il Primo Corso di Specializzazione alla Neuro Infantile, insomma, avevo le mie idee e gli Autori britannici non erano i miei cavalli di battaglia. Trovai comunque la mamma per la Baby Observation, – metodo Bick – che in Italia era una novità formativa assoluta. Fu la prima Baby del gruppo e fu supervisionata da Giannakoulas, in esclusiva, per un anno intero prima che qualcuno ne trovasse un’altra. Solo ora che la Baby è nota anche in Senegal, capisco di aver avuto un privilegio formativo senza confronti. E non è tutto. Allora ero seguita da Giannakoulas anche individualmente per un adolescente adottivo, trattato a tre sedute. La supervisione durò diversi anni con la conseguente trasmissione di una metodologia clinica di stampo anglosassone che riconosco come assolutamente rigorosa. Fatto sta che l’intensità di quella esperienza è stata forte per entrambe le parti, visto che Andreas, in occasione del suo libro, ricordava ancora come se fosse oggi – in una conversazione privata con me – , i sogni del mio paziente adolescente, adesso più che quarantenne.

Così è un grande maestro: spende tanto di sé che ha ottima memoria. Eppure, nonostante questa profondità di rapporto, qualcosa tra me e lui non era decollata sino a sfociare in amicizia incondizionata o in una collaborazione professionale stretta, come accaduto invece con altri maestri, quali Adriano Giannotti e Arnaldo Novelletto. Qualcosa è rimasto bloccato e ci siamo persi. Solo adesso, ritrovandolo, ho provato a pensare il perché.

La mia affezione verso gli Autori francesi non era condivisa da Andreas, che allora li guardava con cautela. Dal canto mio, l’impegno ideologico di cui parlavo, – che si configurava nell’obiettivo pionieristico di portare la psicoanalisi a pazienti giovani e poveri, creando strutture dedicate nel Servizio Pubblico, come poi è successo – non mi permetteva un plauso incondizionato verso un Principe indiano, psicoanalista a Londra, che lavorava in studio privato con gente del Jet Set.

Confesso che la questione per me era in questi termini, anche se si trattava dell’analista di Andreas.

Oggi la faccenda del Principe non ha più senso naturalmente, e anzi, a fronte di attacchi che hanno debilitato in patria l’immagine anche postuma di Masud Khan, ora guardo al suo rilancio della prima teoria di Freud – del trauma – in termini di Trauma Cumulativo, come a una svolta teorica epocale (Khan 1963). Da un altro canto inoltre Giannakoulas oggi cita abbastanza volentieri Autori di scuola francese come Nacht, Laplanche, Lacan, Ricoeur, Aulagner, Racamier e così via. In oltre trenta anni, insomma, qualcosa è cambiato.

Posso quindi dire a questo punto con una grande leggerezza d’animo che l’ultimo lavoro di Andreas Giannakoulas, presentato alla Neuro Infantile di Via dei Sabelli, si impone a chiunque lavori nel campo come opera di struggente bellezza – scientifica, storica, genealogica, letteraria, affettiva, personale – e che anche tale opera, per usare le parole del poeta, già citate da Andreas: «non è l’esperienza di una vita, ma di molte generazioni» (p. 23).

Così almeno Andreas ha voluto presentare agli uditori dell’aula il suo lavoro, come un libro “condiviso”. In questo pensiero c’è del vero forse, perché quel libro, pieno di selezioni raffinatissime di testi preziosi della psicoanalisi, che rende omaggio a tutti i suoi maestri, raccoglie anche quasi quaranta anni di insegnamenti gruppali e di supervisioni private, seguite ognuna con la dedizione che sappiamo. Si impara dai maestri, si impara dai pazienti e si impara dagli allievi: questo è un modo di sentire personale dove circola realmente la capacità di preoccuparsi … come scritto da Hernandez .

E allora, di fronte all’idea del libro condiviso, anche con noi allievi, ho potuto dentro di me giocare con la fantasia che le divergenze di un tempo, tra me e Andreas, lui le abbia ricordate e le abbia in qualche modo utilizzate. Vale a dire, mi concedo ora il piccolo lusso di fare mia l’ultima citazione del testo, tratta da Marion Milner: «L’essenziale dell’esperienza è quello che noi aggiungiamo a ciò che vediamo; e, senza un contributo da parte nostra, noi non vediamo nulla» (p.203).

Maria Antonietta Fenu

 

 

Bibliografia

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